Biodiversità agricola e alimentare patrimonio da salvaguardare

20 MAGGIO: GIORNATA DELLA BIODIVERSITÀ

Gli agricoltori/allevatori custodi e le Comunità del cibo rappresentano strumenti utili per conservare e valorizzare le unicità vegetali e animali tipici dell’agricoltura italiana che, grazie alle loro caratteristiche distintive, contribuiscono a rendere uniche al mondo le nostre produzioni, il nostro territorio, la nostra cultura

Gli agricoltori/allevatori custodi e le Comunità del cibo sono due importanti figure previste dalla legge n. 194/2015, che però hanno storie diverse. I primi sono nati nel nostro Paese già da almeno 2 decenni mentre le seconde sono abbastanza recenti e ancora poco presenti nel panorama territoriale italiano, pur così ricco di biodiversità.

Gli agricoltori/ allevatori custodi

Gli agricoltori/allevatori custodi sono stati previsti e istituzionalizzati nel nostro Paese dapprima con le leggi regionali che, dal 1997 al 2018 sono state emesse da diverse Regioni italiane, poi nel 2009 dal 1° Piano Nazionale Biodiversità Agraria e nel 2012 dalle «Linee guida nazionali per la conservazione in situ, on farm ed ex situ della biodiversità vegetale, animale e microbica di interesse agrario», infine nel 2015 con la legge n. 194 sulla biodiversità «Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversità di interesse agricolo e alimentare».

La legge n. 194 /2015 definisce all’art. 2: 

  • agricoltori custodi gli agricoltori che si impegnano nella conservazione e, nell’ambito dell’azienda agricola, ovvero in situ, delle risorse genetiche di interesse alimentare e agrario locali soggette a rischio di estinzione o di erosione genetica secondo le modalità definite dalle regioni e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano; 
  • allevatori custodi gli allevatori che si impegnano nella conservazione, nell’ambito dell’azienda agricola, ovvero in situ, delle risorse genetiche di interesse alimentare e animale locali soggette a rischio di estinzione o di erosione genetica, secondo le modalità previste dai disciplinari per la tenuta dei libri genealogici o dei registri anagrafici di cui alla legge 15 gennaio 1991, n. 30, e al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 529 (ndr. sost. da dlgs 11 maggio 2018 n.52 ), e dalle disposizioni regionali emanate in materia (figura 1).

Va chiarito che l’ambito di azione previsto dalla legge è locale, a differenza za di quello in cui agiscono le strutture previste per la conservazione ex situ. Questo significa che il territorio in cui gli agricoltori/allevatori custodi sono soggetti attivi è inteso come quell’insieme di condizioni pedoclimatiche, colturali e culturali che permettono di mantenere il percorso di adattamento e evoluzione delle varietà e delle razze locali a rischio di estinzione o erosione genetica che vengono conservate. Tutto ciò anche grazie all’applicazione di tecniche agronomiche e di allevamento evolutesi nel tempo, per giungere a una ottimizzazione delle performance produttive e qualitative delle varietà/ razze conservate nell’ambito, ovviamente, delle loro caratteristiche distintive. Inutile sottolineare che la massima attenzione dovrà essere posta a tutte le pratiche capaci di conservare l’intera biodiversità di interesse agricolo e alimentare e quindi anche tutte le specie animali e vegetali che contribuiscono a mantenere nel tempo la fertilità dei suoli e dell’«ecosistema agrario».

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